Un amico malato, un’esperienza fatta da piccoli, una lezione a scuola, una tradizione di famiglia, un avvenimento di cronaca, il racconto di qualcuno per il quale il dono di uno sconosciuto ha significato la vita… Ogni donatore e ogni donatrice ha un suo motivo personale che ha dato il via alla donazione. E ogni ricevente ha una storia altrettanto straordinaria da raccontare, per spiegare perché e quanto un gesto così semplice sia tanto straordinario.

Se sei ancora indeciso, ma se ti piacerebbe donare, leggi le loro esperienze: quelle di chi dona e quelle di chi riceve il dono. E poi se vuoi raccontaci la tua scrivendo a stampa.emiliaromagna@avis.it oppure partecipa al contest Ogni volta è la prima volta di Avis Nazionale.

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Un donatore racconta

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Una ricevente racconta

Lo scrittore Roberto Mercadini ha scoperto quanto vale il suo gesto...

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I controlli periodici mi hanno salvato la vita

Spero che la mia storia possa essere un insegnamento per tutti, ma soprattutto per i più giovani alle volte indecisi ad avvicinarsi alla donazione di sangue. Non ci sono dubbi: Avis preserva e tutela sotto ogni punto di vista non solo i riceventi, ma anche i donatori. Dopo aver effettuato 90 donazioni, per lo più di sangue intero, ma anche di plasma e piastrine, e dopo essermi sottoposto a tutte le analisi ematiche, come da procedura, mi ritrovo a raccontare la mia storia da ex donatore di Rimini. Sul referto della mia ultima donazione, del 2 febbraio 2019, sono stati riscontrati dei valori anomali: emoglobina bassa e valori collegati ad un enzima del fegato particolarmente alti. Da questi referti, mi è stato diagnosticato un tumore rarissimo – il tumore di Klatschin – che mi ha portato a vivere 200 giorni di ricoveri ospedalieri, oltre ai diversi cicli di chemioterapia per ridurre la massa tumorale e renderla operabile presso l’IRST di Meldola. Nel luglio 2020 è arrivato il momento dell’intervento, durato circa 16 ore, presso il Centro Trapianti dell'ospedale Sant’Orsola di Bologna, per la resezione del fegato e il trapianto delle vie biliari infettate dal tumore. Tra circa due mesi dovrei essere annoverato tra gli ex malati oncologici. Avis, proprio grazie ai controlli periodici che effettua su ogni singolo donatore, ha contribuito a salvarmi la vita. Lascio quindi un solo messaggio: donate sangue ragazzi, per i malati che ne hanno bisogno, e anche per voi che potrete così essere controllati ed indirizzati al meglio in caso di bisogno.

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Una bambina coraggiosa

Sin da bambina ho sempre avuto un rapporto particolare con aghi e sangue. Il mio primo prelievo l'ho fatto all'età di 3 anni e, con la sorpresa di tutti, non ho battuto ciglio. In realtà ero felice di farlo. Non avevo paura dell'ago o della punturina. Questa cosa per fortuna mi è rimasta. Ho conosciuto Avis da bambina, penso a una fiera di paese. Sono rimasta letteralmente impressionata da quello che questa fantastica associazione fa. Da lì ho detto: "da grande voglio essere anche io così, voglio donare il mio sangue a chi ne ha bisogno". Più passavano gli anni più ero impaziente di compiere 18 anni per poter iniziare a donare. Già sapevo di avere un gruppo molto richiesto, lo 0 negativo, e quando finalmente sono arrivata alla maggiore età mi sono fiondata nella mia sede di Avis Montecchio Emilia e mi sono candidata alla donazione. Ho provato una gioia immensa. Quella che mi pervade ancora oggi, ogni volta che esco dalla sala prelievi. Sapere che questo mio piccolo gesto significa molto per un'altra persona, mi fa sentire benissimo. Sono fiera di far parte di questa grande e fantastica famiglia, e orgogliosa di quello che noi donatori riusciamo a fare.

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Mario: “Il mio segreto? Sempre di corsa”

Mario, classe 1952, ha cominciato a donare il sangue nel 1970 e oggi siamo a più di 152 “viaggi” in Avis. Anche il padre era un donatore ma la caratteristica principale di Mario è che non sta mai fermo un attimo: è uno sportivo indomito, capace di fare 30 chilometri di corsa in salita e poi venire a donare! Inutile dire che spesso era un po’ giù di emoglobina, dunque è passato alla plasmaferesi, dove si cedono i liquidi ma non i globuli rossi. E’ contento di essere un donatore, questa abitudine lo fa sentire appagato. Non tanto per una questione fisica, solo si sente felice di poter essere d’aiuto. Tra una corsa e una scalata, ovviamente.

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Meglio tardi che mai

Nel 1964 la mia famiglia venne ad abitare a Bellaria, poco dopo ci trovammo costretti a comprare la casa poiché il proprietario aveva deciso di metterla in vendita. In quel periodo le mie preoccupazioni erano tante ma nonostante ciò pensai alle persone meno fortunate di me. Iniziai iscrivendomi all'AIDO e successivamente all’Avis. Da allora ho sempre donato, e adesso che ho quasi 70 anni credo che la prossima sarà l’ultima donazione. Ho iniziato a donare a 40 anni, rimpiango solo di non aver iniziato prima

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Il mio sangue

È morta ormai da quarant’anni, ma una dei tanti consigli che mia nonna mi dava, quando diventai un ragazzo era: il vino fa buon sangue! Sarà per quello che un bicchiere oggi ed uno domani mi abituai al gusto dell’alcol e avevo trovato una compagnia di amici che condividevano volentieri con me questa abitudine.Avevo preso sul serio il bere vino, ma dimenticato la parte della frase che si riferiva al sangue. Ma non tardò molto e sentivo sempre più il bisogno di roba più forte. Bastò poco a convincermi a provare qualcosa di più invitante, qualcosa che mi consentiva di estraniarmi da questo mondo e rimanere sospeso come in una nuvola per un po’ di tempo, anche se poi il ritorno alla normalità era irruento e spesso doloroso. Con il male di testa e di stomaco dovevo assentarmi anche dal lavoro, ma bastava poco e ritornavo a provare quell’ebbrezza. Avevo sempre qualcuno che mi invitava a farlo e mi accompagnava. Una notte, o meglio un giorno, perché l’alba era già passata, ritornavo con gli amici da un locale da ballo dove ne avevamo fatte di cotte e di crude. Scherzavamo. Ero ancora piuttosto su di giri. La strada era buia, ma sgombra. Normalmente era una strada molto larga, ma quella notte mi sembrava l’avessero ristretta. A un certo punto, vidi di fronte a me il tronco di un platano e in una frazione infinitesimale di secondo la “trasmissione si interruppe”. Quando mi svegliai, non ricordavo nulla di quella serata se non di essere in macchina con gli amici. Ero in ospedale, in rianimazione. Avevo le gambe fratturate e un pezzo dell’auto mi aveva perforato l’intestino. Fui io a chiedere: cosa è successo? Il grave incidente che avevo provocato mi aveva lasciato invalido, ma i miei compagni non avevano avuto neanche quella fortuna. Per salvarmi, mi avevano trasfuso dieci sacche di sangue. Ero malmesso, compromesso, ma vivo e questo grazie ai rapidi soccorsi e a quelle persone che avevano donato il sangue per me, prima che io ne avessi bisogno. Non fu facile riprendere una vita dalla parvenza più normale, ma ricordandomi della frase di mia nonna pensai che la cosa più importante era dare il buon sangue, ma senza pensare al vino, se non in dosi minimali. Quando la mia salute lo consentì, decisi di diventare io stesso un donatore di sangue, per restituire quanto avevo avuto. Mi recai ad un punto di prelievo per il test di idoneità. Purtroppo non fu favorevole e con dispiacere mi dissero che non avrei mai potuto donare per i valori ballerini che emergevano dall’esame del fegato, per le conseguenze lasciate dall’alcol. Non di persi d’animo. Se non potevo donare sangue, avrei potuto invitare altri a farlo. È così che divenni volontario all'Avis di Russi, Ravenna. e organizzare feste, incontri, partecipare alle iniziative per la promozione del sangue oggi mi diverte tantissimo, ma mi dà anche tanta serenità.​

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Una storia a lieto fine

Molti hanno bisogno di sangue e non ne hanno. Seminare del bene significa raccogliere del bene. Quando ero ancora in Egitto alle 3,30 di notte vidi una donna che aveva bisogno di molto sangue di un tipo che non c’era in quel momento (B +). Stava partorendo ed era mia vicina di casa. Fare del bene mi ha spinto a donare. Mi offrii per donare e mi fecero le analisi in 5 minuti per vedere se ero compatibile. Nonostante la situazione difficile andò tutto bene e da lì ho deciso di donare sangue. 5 anni fa sono arrivato in Italia e ho cercato anche qui dove poterlo fare e adesso sono donatore AVIS

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La storia di Monia

Ho conosciuto in palestra un responsabile Avis che mi chiese il gruppo sanguigno prima del nome e, avendo un gruppo raro mi ha dato caccia per tutta la città. Avevo la fobia degli aghi ma dal 2011 sono una donatrice. Quando venni a conoscenza dell’importanza del dono per i bambini nati prematuri, non ho potuto rifiutarmi! Ho due nipotini nati prematuri e un altro è scomparso, da allora mi sono sentita in dovere di farlo. Faccio anche volontariato per AIDO e Croce blu

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Due gemelle per il plasma: una storia di duplice dono

La storia di dono di Iundra e Muriel è una storia di valori trasmessi, di condivisione, di amore incondizionato per gli altri, ma soprattutto di grandi rivoluzioni che si compiono con piccoli gesti: oggi il plasma ancor più del sangue, è diventato un vero e proprio “farmaco salvavita”. Iundra e Muriel sono due gemelle di 29 anni, oltre a condividere il dna, condividono gli stessi valori: sono entrambe donatrici di plasma dell’ Avis. Puntualmente, ogni 90 giorni, si ritrovano alla Casa dei Donatori per donare il loro plasma e trascorrono insieme il momento della donazione. Muriel è microcitemica, l’emoglobina bassa non le permette di donare sangue. Ma questo non l’ha fermata. Muriel non rinuncia al dono, non rinuncia all’ Avis: dona il suo plasma che, più del sangue, è oggi considerato un vero e proprio “farmaco salvavita”. Iundra, che invece potrebbe donare anche sangue, si sottopone alla plasmaferesi per fare compagnia alla sorella e affrontare insieme la donazione. La plasmaferesi , rispetto alla donazione di sangue, richiede infatti un tempo più lungo, affinché il sangue sia separato dai globuli bianchi e venga messo nuovamente in circolo. Ma ciò sembra non crear loro alcun problema. Al contrario le gemelle sono contente di trascorrere insieme i 45 minuti di prelievo. Le lega anche questo gesto che ormai è diventato abituale, ma mai scontato, e nel quale si danno manforte a vicenda. Le gemelle scoprono molto presto di voler diventare donatrici . Durante quel periodo della vita in cui cerchi te stesso, ciò che vuoi essere e diventare e prendi esempio dalle persone di cui ti fidi, verso le quali provi affetto e stima e tendi ad imitarle. Non sai ancora bene perché, ma credi nelle loro azioni, senti che agiscono bene e per il bene e spontaneamente le segui. La sorella maggiore di Iundra e Muriel diede inizio e forma alla sensibilità delle gemelle. Donava assiduamente, e trasmise loro il valore e l’importanza del dono. La sua dedizione appassionata suscitò nelle gemelle l’impazienza di raggiungere la maggiore età per compiere anche loro quel gesto così semplice, che così seriamente e diligentemente la sorella non mancava mai di fare. Si consolidò in loro la consapevolezza che quello fosse un modo estremamente utile per gli altri e che ripagasse non di riconoscenza, non di denaro, ma della gioia di sentirsi necessario per qualcuno: “donare è un gesto ‘banale’ che non richiede grandi sforzi, non lo fai per un riconoscimento. Non sai chi riceverà il tuo sangue e perciò non ti aspetti alcun grazie. Lo fai e basta. Quello che però sai è che qualcuno ha bisogno del tuo sangue. Diventi qualcuno, sei necessario per un’altra persona. E questo, già di per sé, è un riconoscimento.” Il loro appello, quando le abbiamo incontrate una mattina, durante uno dei loro consueti appuntamenti con il dono, è stato: “un piccolo gesto, anche una sola donazione in più, può cambiare le cose. Ognuno di noi può incidere sulla collettività con il suo piccolo contributo. Un gesto spontaneo, come la donazione, potrebbe diventare un anello fondamentale di un processo più grande“ .

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La storia del papà di Licia

“Questa è una delle sacche che sono servite al mio papà per affrontare l’intervento di oggi. Appena l’ho vista mi sono emozionata e ho rafforzato la convinzione che donare il proprio sangue è un atto d’amore disinteressato ed unico. Grazie a tutti i donatori e al proprietario sconosciuto di questa sacca.” Abbiamo telefonato a Licia, che ne è l’autrice. Questa è la sua storia: Licia insegna italiano in una scuola media a Civitanova. È una donatrice di sangue da diversi anni, è molto appassionata del suo lavoro e ama camminare. Quando suo padre, già diabetico, si è rotto il femore e alcune complicanze hanno richiesto attenzioni supplementari e un intervento delicato, per Licia anche la dose di preoccupazione e apprensione è stata supplementare. La sua scelta di diventare donatrice scatta come una molla nel 2005, quando il presidente della Avis locale viene nella sua classe per un incontro con i ragazzi sul tema della donazione di sangue e plasma. Da quel momento, racconta, il suo ruolo di insegnante si è sempre intrecciato con quello di ambasciatrice del dono. Dopo l’appuntamento periodico, anche se potrebbe prendersi la giornata di riposo, va a scuola per testimoniare il suo gesto ai ragazzi, per rispondere alle loro domande, curiosità e fugare i dubbi. A volte racconta loro la storia di suo padre, perché capiscano che la donazione è una cosa assolutamente concreta. Generalmente i ragazzi si commuovono, si sentono coinvolti e capiscono che quel gesto ha su chi è in pericolo di vita un effetto decisivo… Le fanno molte domande, ci dice con dolcezza nella voce, soprattutto vogliono sapere se fa male. Quando ha fatto un tatuaggio ha colto l’occasione per tornare sul tema e dimostrare ai suoi studenti che anche facendo una vita normale si può diventare donatori: non occorre seguire regole ferree ma semplicemente avere buon senso e uno stile di vita sano. Donare il sangue è una sensazione unica e molto intima, conclude Licia: quando ha visto quella sacca di sangue attaccata al braccio di suo padre non ha più retto ed è scoppiata a piangere… e pensare che aveva affrontato così bene tutto l’intervento!

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Alberto: donare è come fare l’amore con la vita

Con questo racconto, che è un pezzo della mia vita voglio farvi capire cosa sia questa grande cosa che è la donazione, e che alla fin fine i donatori non sono angeli o persone speciali ma persone normalissime che come tutti lavorano, hanno figli e conducono una vita normale come tutti forse hanno avuto solo un po’ di fortuna. Sono entrato nel mondo della donazione nel 1995 quando fecero un trapianto di cuore a mio padre. Gli fu impiantato il cuore di un ragazzo di 29 anni morto purtroppo in un incidente stradale. Prima che succedesse questo devo essere sincero, alla donazione di sangue organi e midollo non ci avevo mai pensato, pensavo tanto ci sono gli altri che lo fanno. Poi mi sono iscritto all’AVIS e all’ADMO sempre nel 1995, pensai che la compatibilità è 1 su 100000 non mi chiameranno mai. Poi un bel giorno di maggio 2004 mi chiama ADMO FERRARA (la mia città) e mi dicono se ero disposto a fare i livelli di compatibilità perché avevano trovato un paziente malato di leucemia che al primo stadio in base alla mia tipizzazione era compatibile. Dentro di me euforia a manetta, sapere che avevo la possibilità di salvare una vita mi dava un’immensa gioia. Passati tutti gli stadi di compatibilità vado al colloquio con la responsabile ADMO che mi chiede se ero disponibile per la donazione e io gli ho risposto che era una domanda che non doveva neanche farmi non vedevo l’ora di donare! L’iter prima di donare il midollo osseo è questo: 1) prelievi del sangue per vedere se si hanno malattie o se si è portatori sani di malattie che potrebbero essere trasmesse al ricevente piu’ altre analisi tipo gruppo sanguigno ecc. 2) raggi al torace e al bacino 3) due autodonazioni di sangue che poi mi sono state reinfuse. Io l’espianto l’ho fatto al policlinico S.Orsola di Bologna quindi un mese prima di donare sono andato a Bologna per firmare l’autorizzazione a l’espianto, li c’erano il primario di ematologia, uno psicologo l’anestesista e la responsabile ADMO. Ho saputo che la ricevente era una ragazza di Milano della mia età. Ho conosciuto tante persone malate di leucemia in ospedale e quando hanno saputo che io ero lì per donare il midollo osseo e mi parlavano sembrava quasi che al posto degli occhi avessero due fari abbaglianti perché avevano una speranza di vita davanti, io ero la loro medicina. Cosa si prova a donare il midollo osseo? Non è facile spiegarlo, se avete dei figli è più o meno come prenderlo in braccio la prima volta. Questa esperienza ti cambia, ti fa capire che la malattia non guarda in faccia a nessuno e può colpire qualsiasi persona indistintamente e quindi sarebbe ora che tutti pensassimo seriamente di aiutare le persone che soffrono, un giorno potrebbe toccare a noi. Io vi saluto con una mia sensazione che ho provato quando ho donato il midollo osseo e che provo quando dono sangue. DONARE È COME FAR L’AMORE CON LA VITA.

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La storia di Lino: donatore e volontario

Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato la sua storia: diventa donatore nel 1975 dopo la nascita del figlio, non per necessità ma "sangue ne avevo in abbondanza" da allora sono passati 43 anni. Lino oltre ad aver vinto il 1° contest della #MagliaDellaSalute è anche volontario di Avis Bologna dal 2007

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Vanessa: il sentimento che provo? Orgoglio e gioia nel fare del bene al prossimo

Vanessa, 26 anni, dona il plasma: “Ho sempre pensato di farlo ma la spinta vera me l’ha data il mio ragazzo così una mattina siamo andati insieme all’Avis di Bologna per fare gli esami di idoneità e da gennaio 2012 sono diventata donatrice. Il motivo più forte che mi spinge a donare? Perché con un piccolo gesto posso aiutare molte persone bisognose e questo mi fa sentire bene, dopo ogni donazione è proprio questo il sentimento che provo: orgoglio e gioia nel fare del bene al prossimo, bisogna sempre essere altruisti verso gli altri! Sono fiera di essere una donatrice e poi nella vita non si può mai sapere… un giorno potrei avere bisogno anch’io!” Si sente a suo agio all’Avis, le piace l’ambiente e il personale sempre molto disponibile. Se trova qualcuno che vuole diventare donatore gli parla volentieri della sua esperienza, infatti è riuscita a convincere anche qualche amico a diventare donatore.

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La storia di Marco, collaboratore alla ricerca a contratto nel campo della neurofisiologia

Hai avuto una brutta avventura che ha richiesto oltre 100 trasfusioni di sangue. Ci racconti cosa è successo? Essendo molto appassionato di montagna, all’età di 20 anni iniziai a frequentarla regolarmente con un gruppo di amici, con cui avevo iniziato ad imparare le tecniche di arrampicata e alpinismo. Il 23 Aprile 1994, avevo 21 anni, mi stavo allenando all'arrampicata alla Rocca di Badolo, località molto conosciuta a tutti gli appassionati di montagna bolognesi in quanto offre una vera e propria “palestra” per esercitarsi, su pareti naturali ma opportunamente attrezzate, alle tecniche di alpinismo. Quel giorno però qualcosa non ha funzionato nel sistema di sicurezza (corde e moschettoni) e sono precipitato da un’altezza di circa 20 metri, finendo dritto sul sentiero che percorre tutta la base della parete che stavo arrampicando. Risultato: frattura multipla del bacino, emorragia interna, escoriazioni varie. Sono rimasto ricoverato all'Ospedale Maggiore di Bologna per 9 mesi, fino al 27 Gennaio 1995. Per fortuna è andato tutto bene, adesso godo di ottima salute e trascorro una vita del tutto normale. Convivo con una splendida compagna e ci amiamo profondamente. Certo alcuni “ricordi” il mio corpo li ha conservati; per esempio, quando cammino zoppico un po’, non riesco a correre se non per pochi passi, ho un dolore cronico all’anca di destra che presenta anche mobilità ridotta. Tutto ciò però non è sufficiente a limitare le mansioni normali (e non) della vita di tutti i giorni; io guido senza alcun ausilio speciale, vado in bicicletta, lavoro, pratico da 7 anni e con ottimi risultati il Taijiquan stile Chen (un’arte marziale cinese, di cui sono anche istruttore qualificato), suono percussioni africane. Ti ricordi cosa hai pensato quando hai saputo di aver ricevuto il sangue di così tante persone? Ovviamente un senso di profondissima gratitudine. La donazione di sangue è un gesto che molti donatori compiono naturalmente, senza quasi rendersi conto della grande importanza che ha. C’è qualcosa che vorresti dire loro? No. Almeno non direttamente. Perché io credo che chi ha deciso di donare il sangue abbia già deciso di fare la cosa più giusta, prima di tutto nei confronti di se stessi. Io non credo che qualcuno doni il suo sangue “soltanto” per la gratitudine dei riceventi, credo invece che prima di tutto la gratitudine del donatore venga da dentro di sé, sapendo perfettamente di aver fatto una cosa utilissima che, tutto sommato, non richiede nessuno sforzo, nemmeno economico. Credo invece che sia importante mostrare, anche pubblicamente, che il loro gesto serve davvero ed è fondamentale per tante persone. Per questo, l’unica cosa che mi sento di dire è un profondo e sincero GRAZIE…ma non serve altro.

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La storia di Mirko e Chiara

Mirko, nato sotto il segno della Bilancia, si è diplomato all’IIS Aldini ed ora lavora come apprendista; è la sua prima esperienza in Avis, ha effettuato le visite mediche per ottenere l’idoneità alla donazione. Ho sempre nutrito un certo interesse per la pratica della donazione, quindi mi sono informato, prima su internet poi tramite un amico che dona a Ferrara, anche perché sono il primo donatore della mia famiglia! É un caso che tu sia venuto a verificare la tua idoneità proprio oggi? No, oggi la mia ragazza (Chiara, ndr) ha donato per la prima volta, quindi ho colto l’occasione per accompagnarla e darle il mio supporto! Quale credi sia il timore più grande nei confronti della donazione? Secondo me l’unica cosa che potrebbe spaventare sono i “postumi” da donazione, ma è una paura che si supera facilmente, soprattutto se si è in due! Passiamo a Chiara… ha 18 anni, oggi ha donato il sangue per la prima volta. Com’è andata? Meglio di quanto credessi, inizialmente ero un po’ agitata perché avevo paura mi debilitasse troppo, invece non ho avuto nessun problema. Dove hai trovato le informazioni per diventare donatrice? Mio padre è un donatore AVIS, quindi mi ha indirizzata e accompagnata alla prima visita per l’idoneità. Inoltre tramite la scuola abbiamo avuto l’opportunità di visitare “La Casa del Donatore” durante incontri di sensibilizzazione/informazione sul tema della donazione. Qual è la motivazione più forte che ti spinge a donare? Credo che donare il sangue sia un atto di solidarietà importantissimo… tutti un giorno potremmo aver bisogno di una trasfusione;mi piace pensare che il mio gesto possa aiutare qualcuno e nel momento del bisogno, anche me stessa!

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Giampiero: “Infilo una felpa dell’Avis e divento testimonial”

Giampiero è cuoco ed è già stato insignito della medaglia d’argento. E’ un ragazzo generoso che va a donare con la sola motivazione di fare del bene al prossimo. Si è avvicinato ad Avis nel 2004, dopo aver visto più e più volte lo striscione dell’associazione nella piazza del suo paese, Vigarano Pieve e, semplicemente, un giorno si è chiesto: perché no? Da quel momento non perde occasione per donare, si informa sulle attività di Avis e si dimostra sempre disponibile nei confronti dell’associazione e di chi ha bisogno. La tradizione del dono, a dire il vero, apparteneva già alla sua famiglia: il papà è stato un donatore. L’atteggiamento mite di Giampiero fa sì che non sia una persona appariscente, ma di sicuro sa come trasmettere i suoi valori. Se trova qualcuno che vuole diventare donatore gli parla volentieri della sua esperienza, però preferisce mettersi una felpa dell’Avis e fare pubblicità silenziosamente. Da un paio d’anni è diventato papà, condizione che lo stimola ancor di più a donare, cosciente di quanto sia importante avere disponibilità di sangue. In realtà, racconta, viene a donare anche per se stesso: si sento a suo agio all’Avis, gli piace l’ambiente e il personale sempre molto disponibile. Nonostante tutto ha ancora paura dell’ago ma lo affronta con tranquillità: si gira dall’altra parte mentre lo pungono, così vede un altro donatore!

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Mamadou: “Dono in Italia per dare il buon esempio in Senegal”

È appena diventato donatore di plasma, è membro attivo di un’Associazione senegalese occupandosi di tematiche sociali sul territorio e adora le feste danzanti. Mamadou arriva a donare la mattina direttamente dal lavoro: è nell’industria meccanica e capita spesso di dover fare il turno di notte. Non lo vive però come un sacrifico ma come una grande opportunità. Infatti è convinto che come nuovo cittadino, arrivato in Italia nel 2002, debba fare la sua parte per contribuire al diritto alla salute della comunità che lo ospita. Ma c’è di più. La sua donazione in Italia ha delle conseguenze in Senegal: se tornando a casa racconta a tutti del suo gesto, di quanto sia importante e semplice, partirà un passaparola tra i parenti, gli amici, i conoscenti. E forse così anche in Senegal aumenteranno i donatori di sangue

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La storia di Federico: diverse medaglie vinte ai XV campionati del mondo per trapiantati (London, Ontario, Candada) dove ha stabilito un record del mondo sui 50 metri rana

La mia storia inizia nell’estate 1994 quando mi fu diagnosticata una malattia non molto frequente che colpiva fegato e colon. Fin dall’inizio mi fu detto che prima o poi avrei subito un trapianto di fegato. Immaginatevi un ragazzo di 19 anni, nel pieno della vita, sentirsi dire una sentenza del genere! La mia vita rallentò bruscamente, come se qualcuno avesse tirato il freno a mano alla mia esistenza. Fortunatamente i primi anni corsero via veloce senza grossi problemi. Le prime avvisaglie che sarei arrivato presto al trapianto, iniziarono alla fine del 1999 quando si presentarono sempre più frequenti episodi febbrili, prima sporadicamente, poi sempre più pressanti. Così per un paio di anni, fino a quando ogni santo giorno mi svegliavo con febbre alta. Immaginatevi la febbre ogni giorno.. Fisico debilitato, vita sociale ridotta, vita universitaria azzerata, sopravvivenza e non vita.. Nel gennaio del 2003 decisero di ricoverarmi in pianta stabile in gastroenterologia a Cisanello (Pisa) per cercare una soluzione alla febbre. Otto mesi di ricovero senza una soluzione. Nel maggio del 2003 il prof. Filipponi del Centro Trapianti di Cisanello decise di mettermi in lista di attesa per il trapianto di fegato. Sono stati mesi difficili. Ogni sera andavo a letto e sapevo che poteva essere l’ultima sera… Sentivo la vita abbandonarmi, sentivo le mie forze allontanarsi da me senza che potessi far niente. La mia attesa è cessata un lunedì pomeriggio quando mi telefonarono dicendomi che si era reso disponibile un fegato compatibile. Sono stato operato il 29 luglio 2003, un martedì mattina. A luglio del 2011 saranno 8 anni che sono vivo! Ora vivo una vita straordinariamente normale proprio perché posso fare tutto ciò che prima la malattia mi vietava di fare. Nel 2005 mi sono sposato e nel 2008 è nata Rebecca. Hai avuto bisogno anche di sangue per il tuo intervento, c’è qualcosa che vuoi dire a tutti i potenziali donatori che ti leggono? Vorrei prima di tutto abbracciarli perché loro non lo sanno, ma con il loro “quarto d’ora” con il braccio steso a donare il sangue, mi hanno dato ad oggi quasi otto anni di vita! E vorrei invitarli a fare una cosa, se vogliono. Vorrei che la mattina successiva ad una donazione si guardassero allo specchio, si guardassero negli occhi, dentro, in profondità, perché probabilmente si vedranno persone migliori, perché con il loro “piccolo” gesto hanno regalato anni e anni di vita a chi lo ha ricevuto. E riconoscessero il fatto che il loro gesto è meraviglioso perché non è un gesto che, purtroppo, fanno tutti. Chi dona il sangue ha una marcia in più! E il giorno in cui si chiedessero: “ma chi me lo fa fare di andare a donare?” Io li inviterei a telefonarmi per provare a fargli capire dove lontano va il loro gesto. Per loro rappresenta un quarto d’ora. Per me e per chi lo riceve, anche anni di vita normale, o come dico io, di vita straordinariamente normale! La guarigione si è “portata dietro” un’esperienza sportiva di tutto rispetto, ce la racconti? La mia malattia si era portata via anche tutti i sogni di una vita normale. Un unico sogno mi era rimasto. Tre giorni prima del trapianto lessi sulla Gazzetta di certi Campionati Mondiali per Trapiantati che si stavano svolgendo in quei giorni a Nancy in Francia. Per me fu una notizia grandiosa. Sapere che i trapiantati tornavano ad una vita normale al punto di poter far sport ed a buoni livelli, fu sorprendente. Mi dissi: quasi quasi, se esco vivo dal trapianto… E così è stato. Ho ripreso la mia vecchia passione per il nuoto e a due anni dal trapianto ho partecipato, vincendoli i campionati italiani per trapiantati e mi hanno selezionato per la Nazionale Italiana Trapiantati ANED. Nel luglio del 2005 sono andato in Canada per i Campionati Mondiali per trapiantati e fra gare singole e staffette ho vinto 3 medaglie d’oro, 1 argento e 2 bronzi e ho stabilito un record del mondo sui 50 metri rana, ad oggi ancora imbattuto! Donare è un gesto semplice che le persone compiono con grande spontaneità, non sempre coscienti dell’importanza enorme del loro dono. Eppure spesso chi ha ricevuto questo dono confessa di sentirsi in qualche modo “in debito”. E’ capitato anche a te? Si, è capitato anche a me. Il primo sentimento in verità è quello di realizzare tutto ciò che la malattia aveva impedito. Viene quasi spontanea un’energia mentale talmente forte che alle volte devo tenermi a freno. Il sentirsi in debito è un sentimento comune a molti trapiantati. La donazione per me è stata un’opportunità che mi è stata data per riprendermi ciò che la malattia mi aveva tolto. E visto che non tutti hanno questa opportunità, mi sento in dovere di condurre una vita la più retta possibile. E appena possibile mi sono impegnato nel volontariato. Lavoro per l’associazione Vite Onlus di Pisa, un’associazione di trapiantati, sono diventato presidente provinciale AIDO. Insomma, cerco di condurre una buona vita perché spero che quando morirò anch’io (fra cent’anni perché ho da fare ancora una marea di cose!), spero di incontrare il mio donatore nell’aldilà, spero mi venga incontro, mi stringa la mano e mi dica: “Bravo Federico, hai fatto un bella vita, ti sei meritato tutto questo”. La donazione di organi e di sangue in me ha moltiplicato la vita.

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Eva: “Un… vizio di famiglia”

Eva Maria ha iniziato a donare nel dicembre del 2009. Uno dei motivi per cui ha iniziato è che sia il padre che il fratello sono donatori, il che comporta un buon livello di conoscenza della materia in famiglia! Eva si è resa subito conto che con un piccolo gesto si aiutano molte persone e questo la fa sentire importante. E’ fiera di poter dire di essere una donatrice, perché è un motivo per cui bisogna essere orgogliosi di se stessi.. E’ riuscita a convincere anche alcuni suoi coetanei che per pigrizia non si erano mai informati sulla breve procedura da fare per poter donare il sangue.

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Nicola: “Vado a donare, chi si ama mi segua”

Nicola, a 28 anni già 15 donazioni alle spalle, ogni volta che dona manda un SMS agli amici e riesce quasi sempre a convincerne almeno uno a venire a fare la visita di idoneità. Sa come motivare gli altri perché è farmacista appena laureato: nessun danno alla salute ma molto benessere e una bella spinta all’organismo per produrre sangue nuovo. Ciò che lo motiva personalmente non è solo la salute. In famiglia non ci sono donatori ma lui ha sempre pensato che fosse una cosa importante, soprattutto perché al sangue non esiste alcuna alternativa di sintesi. E così viene a donare con la sua tessera di Bologna e quella di Andria, il suo paese d’origine. Tra poco dovrà sostenere l’esame di Stato per diventare farmacista e vorrebbe poter lavorare all’estero per fare un po’ di esperienza. E sicuramente donerà anche nel Paese che sceglierà!

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Giulia: “La prima volta non si scorda mai!”

Giulia ha fatto la sua prima donazione, non è spaventata, anzi, è convintissima di quello che fa. La accompagna il nonno che ha sempre donato, mentre la mamma e il papà no, salto di generazione! Frequenta il Liceo linguistico Rosa-Luxemburg è si ripromette di convincere il suo fidanzato, che ha un po’ paura dell’ago. Come tutti i ragazzi della sua età ama ascoltare la musica e non nasconde che le fa piacere, quando viene a donare, prendersi un giorno di vacanza da scuola. Del resto come biasimarla, un gesto così importante varrà pure un po’ di meritato riposo, no?

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La storia di Nordine, ex-atleta di pallacanestro

La sua storia inizia con un viaggio turistico. Arrivava dal Marocco e stava frequentando la Facoltà di Giurisprudenza. Era il 1990 e il viaggio si è trasformato presto in una permanenza forzata dalla malattia, da quella vacanza Nordine ha dovuto convivere per tre anni con la terapia di emodialisi fatta 3 giorni alla settimana presso l’ospedale di Ferrara. Poi il trapianto di reni che ha superato con successo all’ospedale di Parma. Ora la sua vita è serena, una vita “normale” a Cento (FE) e un lavoro da magazziniere a San Matteo della Decima. Nordine ha sempre partecipato al mondo del volontariato, dal 1992 fa parte della Protezione Civile, e ha dato una mano in occasione del terremoto dell’Aquila. Inoltre fa parte dell’ANED (Associazione Nazionale Emodializzati) dal 1996. Dopo l’intervento ha sentito il bisogno di partecipare attivamente alla promozione e alla divulgazione delle informazioni sulla emodialisi e i trapianti così, da buon sportivo, ha deciso di partecipare alle attività dell’associazione come atleta della squadra di pallavolo, organizzando tornei tra persone trapiantate, informando la popolazione sulla terapia di dialisi e sulla donazione di organi. Il suo impegno nel volontariato si è presto legato anche alle attività che svolge insieme ad altri connazionali presso il Centro Culturale per la Convivenza, il cui presidente è un donatore Avis. Insieme hanno portato avanti iniziative di divulgazione sull’importanza della donazione di organi e del dono del sangue, discutendo e affrontando tutti i dubbi che potevano sviluppare le persone frequentanti il Centro, come, ad esempio, il legame tra il dono e la fede. Il Corano infatti, invita il fedele ad essere sempre disponibile e pronto per salvare una vita e donando si cerca di rispettare questo precetto.

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Gianni: “Lo consiglia il medico!”

Donatore abituale dal 1999, con 33 donazioni al suo attivo fino ad oggi, Gianni ha cominciato su consiglio del medico curante: mangiava in mensa aziendale e tutti i giorni prendeva una bistecca al sangue e un piatto di pasta. Gli esami del sangue di routine presentavano valori adatti alla donazione, così il suo medico l’ha motivato a fare questa scelta. Si è sempre trovato bene, anzi ha la sensazione di sentirsi meglio dopo ogni donazione. Ha un hobby diventato ormai professione: è il Presidente del club illusionisti e prestigiatori di Bologna e vice Presidente del Club Magico Italiano, ormai quando viene a donare tutti lo chiamano “il mago dell’Avis”.

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Yuri: “Ogni cosa ha il suo momento giusto”

Yuri ha sempre pensato che gli sarebbe piaciuto donare il sangue per dare una mano al prossimo. Però ha appena cominciato. Non c’è sempre un perché… Le cose nascono così, ognuno le matura in sé e aspetta che vengano a galla da sole. In famiglia dona lo zio ma non è questo che gli ha dato la spinta. Una mattina si è alzato e ha deciso che era arrivato il momento. Ha portato con sé un amico e così è iniziata l’avventura. Nella vita lavora all’ufficio stampa della Ducati Corse e ama molto viaggiare, non necessariamente in moto però!

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Lorenzo: “Papà medaglia d’oro e ora tocca a me”

Lorenzo, chitarrista in una band, un Master in lingue e letteratura straniera, Lorenzo ha iniziato a donare il sangue approfittando del fatto che aveva tempo a disposizione, in attesa della prima occupazione. E’ anche uno sportivo perché gioca a calcio e con la donazione ha sempre convissuto: suo padre è medaglia d’oro all’Avis e anche per lui è arrivato il momento di cominciare.

Se hai altre curiosità o dubbi sulla donazione di sangue e plasma, visita le nostre pagine dedicate