L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non fare distinzione e a non porre alcuna barriera tra donatori omosessuale e eterosessuali.

di Luca Boetti
Medico trasfusionista di Rimini

Chi si occupa di selezione del donatore sa che con i donatori bisogna essere onesti, bisogna dire la verità, bisogna credere in quello che si dice. Sia quando si chiede loro una maggior disponibilità perché serve sangue di quel determinato gruppo sanguigno, sia quando si deve comunicare loro una sospensione dalle donazioni, a maggior ragione se il motivo di tale sospensione riguarda uno o più rapporti sessuali a rischio.

La cosa peggiore che un medico può fare è giustificare il provvedimento affermando semplicemente: “lo dice la legge!”. Dietro alla legge ci sarà pur qualcosa? Ed è quel qualcosa che il medico deve cercare di spiegare.

È importante che un donatore capisca perfettamente che dietro alla sospensione non c’è un giudizio morale, ma un importante principio di precauzione. Bisogna anche che sappia che il nostro Paese da questo punto di vista è più avanti degli altri, perché non prende in considerazione le inclinazioni sessuali, bensì i comportamenti sessuali. In controtendenza con questa impostazione, l’editoriale intitolato “Perché tutti gli uomini che hanno avuto rapporti omosessuali fin dal 1977 devono essere sospesi definitivamente dalle donazioni?”, pubblicato nel giugno 2009 dalla rivista Transfusion (Rivista della Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia-SIMTI nata nel 1956, ndr), sosteneva che le persone omosessuali dovessero essere considerate una vera e propria categoria a rischio, un gruppo omogeneo con un’incidenza e una prevalenza di contagio per l’HIV e per altri agenti infettivi emergenti maggiore rispetto alla popolazione in generale.

Normative sulla sospensione

Facciamo un passo indietro per capire quali sono le differenze qui da noi. Fino al 2001 la nostra legislazione non prevedeva domande da sottoporre al donatore su specifici comportamenti sessuali a rischio ma indirettamente chiedeva allo stesso di leggere l’informativa consegnata contestualmente alla visita e di autoescludersi se fosse appartenuto ad una delle categorie a rischio indicate.

Dal 2001, i decreti che regolamentano le donazioni in Italia hanno previsto che la sospensione dei donatori non avvenisse più per categorie ma per comportamenti o stili di vita. Ovvero tutti i donatori devono essere adeguatamente informati sulla possibile trasmissione dell’HIV con la trasfusione e invitati ad astenersi dalla donazione se incorsi in comportamenti a rischio. Ogni condotta potenzialmente a rischio deve essere comunque riferita al medico per consentirne un’adeguata valutazione. Sono state inserite nel questionario domande riguardanti alcuni comportamenti sessuali considerati a rischio, per cui è stata prevista una sospensione temporanea di 4 mesi.

Oggi l’Europa chiede all’Italia di dettagliare e rendere più comprensibili le domande sui comportamenti sessuali a rischio. Si tratta infatti, secondo l’Unione, di domande troppo generiche, che possono presentare ambiguità interpretative sia per medici che per i donatori. Il Centro Nazionale Sangue ha chiesto alla commissione che si sta occupando della revisione e dell’aggiornamento dei decreti di riscrivere le domande del questionario tenendo conto appunto delle maggiori esigenze di sicurezza richieste dall’Europa. Dal 1990 ci sono stati almeno tre aggiornamenti legislativi e a breve ce ne dovrebbe essere un quarto. È normale, perché le conoscenze mediche cambiano di continuo e occorre che le disposizioni in merito alla selezione dei donatori siano sempre coerenti con gli studi clinici, epidemiologici e scientifici più attuali.

Sessualità a rischio: l’importanza di essere informati

L’impostazione data dai legislatori nel 2001 sugli stili di vita e i comportamenti sessuali a rischio è stato un passo avanti importante. Oggi i dati ci dicono che la trasmissione dell’AIDS avviene quasi esclusivamente con i rapporti sessuali, senza distinzione tra maschi e femmine, giovani e vecchi, eterosessuali e omosessuali.

È smentito dai dati che ci sia un’incidenza nella trasmissione del virus HIV maggiore tra omosessuali rispetto agli eterosessuali: ciò che fa la differenza è il comportamento sessuale a rischio e non il sesso del partner.

Eppure molte difficoltà e pregiudizi restano radicati rispetto a questo tema. Anche al donatore viene chiesta una grande capacità di comprensione. Infatti è facile spiegargli che con la febbre non può donare: potrebbe avere dei microbi in circolo che, entrando nella sacca donata, rischierebbero di essere essi stessi trasfusi nel sangue di un paziente debilitato con gravissime conseguenze. Allo stesso modo deve essere accettata la sospensione di 4 mesi in caso di rapporto sessuale considerato a rischio; deve essere consapevole del fatto che il medico non lo giudica come persona né giudica le sue scelte. Semplicemente valuta un comportamento potenzialmente pericoloso per il donatore stesso e i potenziali riceventi. Dall’altro lato il medico deve fare del suo meglio nella spiegazione di concetti indispensabili a rendere il donatore informato e formato, quali incubazione di una malattia infettiva, periodo finestra, autoesclusione.

Precisare cosa si intende per rapporti sessuali a rischio, dalle situazioni più “estreme”, come andare con una prostituta oppure avere rapporti sessuali in cambio di denaro o droga, a situazioni più “normali”, come ad esempio  rapporti sessuali con un nuovo partner, con un partner sconosciuto o con più partner permette al medico di spiegare al donatore il meccanismo alla base del contagio: il contatto del sangue e dei liquidi seminali con le mucose o le ferite.

Ritornando ai donatori omosessuali, l’attuale impostazione ci permette di rispettare la sfera privata di tutti senza eccezioni pur senza compromettere la sicurezza delle trasfusioni. Non ci interessa sapere con chi è andato a letto il donatore e che cosa ha fatto! È importante che ci dica se ha avuto rapporti sessuali con un nuovo partner negli ultimi 4 mesi. Per questo motivo non c’è differenza tra un donatore omosessuale e uno eterosessuale, se entrambi sono monogami o vengono a donare dopo 4 mesi da un rapporto sessuale a rischio.

Non le persone, ma i comportamenti

Un aspetto da prendere in considerazione riguarda il dubbio, il sospetto che alla base delle scelte ci siano dei pregiudizi su una specifica categoria di persone. Per immergermi nell’argomento e documentarmi sulla discriminazione degli omosessuali e dei malati di AIDS, mi sono guardato un bel film del 1993, “Philadelfia” di Jonathan Demme, con Tom Hanks e Denzel Washington. È la storia di un avvocato omosessuale malato di AIDS che fa causa allo studio legale in cui lavorava perché licenziato (apparentemente) per negligenza, mentre il vero motivo che emerge durante il processo è rappresentato dai pregiudizi dei suoi superiori.

Al di là della trama e della splendida recitazione, un aspetto del film che mi ha fatto riflettere è stata la classica distinzione tra buoni e cattivi. In particolare i cattivi, gli avvocati soci dello studio legale più importante di Philadelfia, sono proprio cattivi: sono stati scelti attori che più cattivi di così non si poteva! Nella realtà è proprio così? Non ci sono solo il bianco o il nero ma anche una vasta gamma di sfumature tra i buoni e i cattivi.

La stessa cosa vale per le categorie a rischio: non c’è un genere di persona che per definizione è più a rischio di un’altra. Sono i suoi comportamenti che lo rendono, di volta in volta, idoneo o non idoneo alla donazione. Per questo il ritorno alle categorie a rischio ipotizzato dall’Europa non mi convince, e non sono il solo. Auspico che l’Italia riesca a dimostrare la bontà delle scelte fatte nel 2001: garantire un livello di sicurezza trasfusionale sovrapponibile a quella europea e contemporaneamente applicare regole di selezione del donatore che tengano conto dei comportamenti a rischio e non di “categorie” precostituite.

Dott. Luca Boetti - I medici Avis Emilia-Romagna
Luca Boetti

Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, specializzato in Geriatria e Patologia Clinica. Ha lavorato come medico addetto alla selezione donatore presso Avis provinciale di Rimini e al 2004 lavora presso il SIMT di Rimini. E’ componente dell’Area Sanitaria Avis Emilia-Romagna e del Gruppo di Lavoro “Selezione e raccolta” AUSL della Romagna. Collabora alla stesura e all’aggiornamento del documento online “Il donatore che viaggia” e del “Nuovo cittadino” pubblicato nel sito della SIMTI. Non ha mai collaborato con aziende farmaceutiche né in Italia né all’estero.

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