*di Florio Ghinelli
Responsabile sanitario Avis Emilia-Romagna

Il fegato è l’organo più voluminoso del corpo umano e nell’adulto ha un peso di circa 1,5 Kg. Svolge svariate funzioni, indispensabili per la vita dell’organismo: trasforma gli alimenti assorbiti durante la digestione nelle sostanze che servono per produrre l’energia necessaria alle funzioni vitali delle cellule che compongono l’organismo; elimina numerose sostanze tossiche; produce la bile, necessaria per la digestione di alcune sostanze alimentari; regola il metabolismo di molte sostanze organiche, fra le quali il colesterolo, il glucosio, vitamine ed ormoni; interviene nella produzione di varie proteine, come l’albumina e vari fattori della coagulazione. Questo “perfetto operaio” può ammalarsi molto più spesso di quanto pensiamo. La sua dimensione è tale che solo il 30% circa del fegato è necessario per svolgere le funzioni cui è sottoposto. Ne deriva che i primi sintomi della malattia epatica si manifesteranno solo quando più del 70% delle cellule epatiche è danneggiato. Inoltre il fegato è l’unico organo del nostro organismo che si rigenera. Purtroppo però la rigenerazione del fegato può essere anormale e dare luogo a grosse cicatrici che sconvolgono l’anatomia e la circolazione del fegato, dando luogo, nei casi gravi, a quella situazione che viene chiamata cirrosi. I fattori lesivi per il fegato possono essere gli agenti infettivi come batteri, parassiti e, principalmente, virus che sono di solito chiamati con le lettere dell’alfabeto (A, B, C, D, E,F, G). Tra le altre cause ci sono le sostanze tossiche come alcool, farmaci, sostanze chimiche o le patologie di altri organi, ad esempio cardiopatie, malattie metaboliche, tumori.

Le lesioni del fegato sono un vero problema sociale. Uno studio condotto in provincia di Modena e di Gorizia ha evidenziato che circa il 20% della popolazione ha sintomi e/o segni di danno epatico, per fortuna modesto. Le malattie del fegato devono essere distinte fra acute e croniche. Le prime compaiono improvvisamente e in genere la loro durata è limitata, sempre inferiore ai sei mesi. Al contrario, le epatopatie croniche insorgono lentamente e in modo insidioso, durando anche anni o per tutta la vita, se non curate. Le epatiti acute sono spesso dovute ai virus, più frequentemente ai virus A, B e C, o meno frequentemente Citomegalovirus (CMV), Epstein-Barr virus (EBV) ovvero l’agente eziologico della mononucleosi infettiva. Le epatopatie croniche sono causate di frequente dall’alcool, dal virus dell’epatite C e dell’epatite B. Il quadro clinico delle epatiti acute virali può essere distinto in tre fasi. Dopo un periodo di incubazione che va dalle 4 alle 12 settimane la malattia si presenta con una fase iniziale con nausea, vomito, astenia e a volte febbre. La fase itterica è caratterizzata da colorazione giallastra delle sclere e della cute. La fase della guarigione presenta, in assenza di complicazioni, attenuazione di sintomi generali con completa guarigione in 1-2 mesi per l’epatite A, 3-4 mesi per l’epatite B e C.

Nel 30% l’infezione persiste per più di 6 mesi (percentuale più alta per l’epatite C), e si parlerà quindi di epatite cronica. L’epatite A si trasmette quasi esclusivamente per via oro-fecale (acqua e alimenti contaminati). Molto improbabile ma possibile, è la trasmissione percutanea e per via sessuale. I pazienti senza altre malattie concomitanti che si ammalano di epatite A guariscono generalmente senza sequele cliniche, la mortalità è in genere dello 0,1%. È possibile sia l’immunizzazione passiva con immunoglobuline che la vaccinazione.

Il virus dell’epatite B è diffuso in tutto il mondo e si stima che esistano circa 350 milioni di portatori cronici. La prevalenza di malati varia da oltre il 10% in Asia allo 0,5% negli Stati Uniti e in Europa settentrionale. La trasmissione di epatite da virus B deriva da esposizione a sangue infetto o fluidi corporei contenenti sangue. In zone a bassa prevalenza, come gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, l’iniezione di droghe e i rapporti sessuali non protetti sono le vie principali di infezione. L’infezione da virus dell’epatite B può evolvere in quattro situazioni correlate con la risposta immunitaria del soggetto infetto: guarigione (nel 89% dei casi); epatite fulminante (1%), che può richiedere il trapianto; infezione cronica con danno progressivo del fegato (nel 5-10% dei casi); stato di portatore inattivo (5% dei casi).

Si stima che le persone infette da virus dell’epatite C nel mondo siano circa 130 milioni. In Italia ci sono circa 1,5 milioni di persone infette con un migliaio di nuovi casi all’anno. La fonte di infezione è costituita da soggetti affetti da malattie acute, ma soprattutto da malattie croniche. Questi spesso non sanno di essere ammalati e possono, inconsapevolmente, trasmettere l’infezione.
Le modalità di trasmissione sono diverse. Via parenterale: il virus penetra attraverso punture con aghi o strumenti infetti o somministrazione di sangue o emoderivati. Infatti solo negli anni ’90 inizia la ricerca dell’anticorpo anti virus C su ogni donazione, la via parenterale inapparente è quando il virus penetra attraverso microlesioni difficilmente visibili della cute e delle mucose. La via sessuale ha una frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell’epatite B e dell’HIV e anche quella materno-fetale presenta un rischio d’infezione inferiore al 5%.

Purtroppo una percentuale alta di epatiti acute da virus C non guarisce, sviluppando forme croniche con complicanze che nel 17% dei casi evolvono in cirrosi epatica, e nel 2% in carcinoma epatocellulari. A differenza dell’epatite A ed epatite B per l’epatite C non esiste ancora un vaccino: questo è dovuto alla variabilità delle proteine virali dell’envelope (E1/E2) che permette al virus di sfuggire alla sorveglianza immunitaria dell’ospite e alla bassa replicazione di HCV in vitro. Alla luce di tutte queste possibilità di contagio, sorge naturale la domanda: il sangue che trasfondiamo è sicuro? Che rischi corre il ricevente?

Possiamo dire con tutta tranquillità che il ricevente è esposto a un rischio bassissimo di contagio: si stima che il rischio possa essere costituito da una sacca di sangue ogni 500.000/800.000, dal momento che su ogni sacca vengono eseguiti test sensibilissimi (Elisa e NAT) per i virus dell’epatite B e C, per l’HIV e per la Lue. Ovviamente i controlli garantiscono la sicurezza per il ricevente ma anche la salute del donatore con una diagnosi precoce di un possibile contagio. Pubblicheremo presto un articolo sulle epatiti croniche, sulle loro complicanze, sulle terapie e su uno degli aspetti più importanti ad esse collegato: il problema del danno epatico da alcool.

Florio Ghinelli

*Ghinelli Florio
Laureato in Medicina e Chirurgia a Parma nel 1969, specialista in Medicina Interna, specialista in Malattie Infettive.
Primario dell’Unità Operativa Malattie Infettive Arcispedale S. Anna di Ferrara dal 1985 al 2011.
Presidente AVIS Provinciale Ferrara.
Responsabile Area Sanitari AVIS Regionale E.R.
Vice Presidente AGIRE SOCIALE – C.S.V. Ferrara