In occasione della Giornata Mondiale per la Lotta contro l’AIDS, proponiamo un reportage sul percorso di selezione dei donatori di sangue e plasma in Italia e in Europa con particolare attenzione al tema della sessualità consapevole e responsabile.
Una volta, non tanto tempo fa, un medico incaricato di formare un gruppo di giovani ragazzi sul tema delle malattie infettive del sangue, ha detto: “Il sesso è l’argomento più controverso per la mente umana”. Tutti i presenti, trattandosi appunto di un ambito sensibile, non hanno faticato tanto per capire cosa volesse dire. Da sempre esistono due categorie di persone: quelle che del sesso parlano liberamente perché lo considerano un aspetto estremamente naturale della vita di un essere umano; quelle che considerano il sesso un tabù e non ne parlerebbero neanche con una pistola puntata alla tempia, in nessun caso né situazione, neanche quando dovrebbero. Come, ad esempio, prima di diventare donatori di sangue.
Chi intende diventare donatore di sangue può recarsi presso una sede o un centro di raccolta o un Servizio trasfusionale dell’ospedale della propria città. L’iter è sempre il medesimo: un colloquio con il medico che aiuterà a stabilire l’idoneità e a individuare quale tipo di donazione è più indicata: sangue intero o aferesi. Dopo la visita medica verrà effettuato il prelievo del sangue necessario per eseguire gli esami di laboratorio prescritti per accertare l’idoneità al dono. Accertata l’idoneità, il nuovo donatore verrà invitato a effettuare la prima donazione.
Tutto questo per dire che nella fase della valutazione, il medico preposto, dopo la visita clinica al donatore (battito cardiaco, pressione arteriosa, emoglobina) e prima della firma del consenso, procede con l’intervista per l’accertamento di eventuali situazioni che rendano la donazione controindicata tanto per la sicurezza del donatore che per quella del ricevente. Tra le domande vi sono naturalmente quelle relative alle relazioni sessuali avute nei quattro mesi precedenti il giorno della visita. Domande che verranno sottoposte, sotto forma di questionario anamnestico, prima di ogni eventuale futura donazione.
L’importanza di essere sinceri
Ora, ripensate alle due categorie di persone: quante di quelle sono disposte a raccontare al medico e a rispondere sinceramente a un questionario (nonostante la scelta di donare il sangue sia stata assolutamente autonoma) su domande tipo:
– Dall’ultima donazione e comunque negli ultimi quattro mesi ha cambiato partner?
– Dall’ultima donazione e comunque negli ultimi quattro mesi ha avuto rapporti eterosessuali, omosessuali, bisessuali (rapporti genitali, orali, anali) con un partner occasionale o con più partner sessuali?
Certo, in caso di risposte affermative (come anche nel caso contrario), il medico è obbligato a rispettare il segreto professionale e, nonostante la certificata serietà del personale dei centri di raccolta, l’essere umano è terribilmente diffidente e a volte irresponsabile che potrebbe persino non dare il giusto peso a un comportamento a rischio mettendo a repentaglio la vita di un ricevente. Vero anche che gli attuali test immunosierologici sono in grado di riconoscere un virus in un tempo inferiore rispetto al passato ma per la maggior parte delle malattie infettive esiste quello che è conosciuto come “periodo finestra”. Il periodo finestra, infatti, è quel periodo di tempo che intercorre tra il momento del contagio e quello in cui il virus, se presente, è rintracciabile attraverso esami di laboratorio. Quindi, paradossalmente, se un donatore ha un rapporto sessuale non protetto martedì 5 e ha una donazione giovedì 7 e nasconde di aver avuto un comportamento a rischio che malauguratamente gli provoca un contagio da HIV, probabilmente la sacca prelevata potrebbe contenere sangue infetto.
Quello della sessualità responsabile rimane il tema alla base delle tematiche correlate al discorso della donazione del sangue in Italia.
AVIS, nello specifico, ha tra i suoi obiettivi prioritari la promozione della donazione periodica, volontaria, non remunerata, anonima, responsabile finalizzata a garantire, insieme agli altri attori del sistema, adeguate quantità di sangue e dei suoi derivati, sicure e di qualità, per tutti gli ammalati che ne presentano la necessità. Per garantire, inoltre, il rispetto dei principi di massima sicurezza e qualità esistono numerosi riferimenti normativi tra i quali il Decreto Ministeriale 3 marzo 2005 dal titolo “Protocolli per l’accertamento della idoneità dei donatori di sangue e di emocomponenti” che stabilisce anche i criteri di esclusione permanente e temporanea. Sono esclusi permanentemente dalla donazione le persone il cui comportamento sessuale le espone ad alto rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili con il sangue; sono escluse temporaneamente, invece, le persone che hanno avuto rapporti sessuali con persone infette, persone di cui non si conosce lo stato sierologico o persone a rischio di infezione da HBV (Epatite B), HCV (Epatite C), HIV (agente responsabile dell’AIDS, sindrome della immunodeficienza acquisita).
L’esclusione, in questi casi, è di 4 mesi dall’ultima esposizione al rischio.
Risulta chiaro, quindi, che per garantire la sicurezza del donatore e del ricevente è necessario ricorrere a donatori periodici, volontari, non remunerati, anonimi, responsabili. É necessario, poi, effettuare una accurata selezione del donatore ed eseguire tutti i test per l’individuazione delle principali malattie infettive trasmissibili.
Donazione e omosessualità
Le norme vigenti (decreti ministeriali e linee guida stilate dal SIMTI, Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia), quindi, assegnano al medico responsabile della selezione del donatore il compito di individuare eventuali comportamenti sessuali a rischio, indipendentemente dall’orientamento sessuale e del genere non discriminando alcuna “categoria” di persone. Né tantomeno gli omosessuali.
Se ne parla da decenni ma le cose non sono poi cambiate di tanto. L’Italia, dal 2001, ha abolito con un decreto ministeriale (firmato dall’allora ministro Veronesi), il discrimine tra donatori eterosessuali e omosessuali, secondo il principio per cui ad essere a rischio è il comportamento e non l’orientamento sessuale.
Tuttavia, continuano a persistere casi di discriminazione. Come, ad esempio, il Policlinico di Milano che, sulla pagina web relativa ai principali motivi di sospensione permanente dalla donazione riporta la dicitura “rapporti sessuali tra maschi”. Che, si ribadisce, è in contrasto e con i decreti ministeriali e con le linee guida del SIMTI.
E gli altri paesi? Partiamo dagli USA dove gay e bisessuali per poter donare il sangue aspettano l’ufficialità del rapporto della FDA (Food and Drug Administration), l’ente governativo americano preposto al controllo della sicurezza dei farmaci e delle procedure sanitarie. Negli Stati Uniti le autorità imposero il divieto di donare il sangue agli omosessuali nel 1983, periodo in cui il virus dell’AIDS diffondeva il panico nel Paese, a causa dell’aumento delle vittime nelle comunità omosessuali della California del Sud e di New York. Nonostante tale apertura rimangono comunque delle condizioni: saranno accettati solo donatori che non hanno avuto rapporti omosessuali nell’ultimo anno.
La situazione in Europa non cambia di tanto. Gli omosessuali, infatti, non possono donare il sangue in molti stati europei, frutto di cliché sul comportamento sessuale dei cosiddetti MSM (men who have sex with men): i gay cambierebbero di continuo i loro partner sessuali e non userebbero alcuna precauzione, avendo quindi un rischio maggiore di diventare sieropositivi. Nei primi anni ’80 questi pregiudizi hanno portato, anche in Francia, alla totale esclusione degli omosessuali dalla donazione del sangue. Un divieto tutt’oggi esistente e motivato dalle statistiche. Stesse statistiche che vietano il diritto anche agli omosessuali tedeschi.
Come l’Italia, invece, solo la Spagna. In entrambi i paesi non viene fatta alcuna distinzione tra donatori omosessuali e donatori eterosessuali, con una sola distinzione: in caso di comportamento a rischio l’Italia riammette il donatore dopo quattro mesi, la Spagna dopo sei. Un ulteriore casistica, poi, si ha in Gran Bretagna, Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca e Ungheria. In questi stati i donatori MSM non sono ancora stati equiparati agli altri donatori: possono donare il sangue solo un anno dopo l’ultimo rapporto omosessuale. Aspetto che le associazioni in difesa dei diritti delle persone LGBT delle proibizioniste Francia e Germania non condividono: il lungo tempo d’attesa, infatti, impedirebbe agli omosessuali di avere una vita sessuale.
Dal 1987, l’inizio di dicembre ricorda a tutto il mondo quanto importante sia la prevenzione sessuale. La giornata mondiale contro l’AIDS, infatti, indetta ogni anno il 1°dicembre, è dedicata ad accrescere la coscienza dell’epidemia mondiale di AIDS dovuta alla diffusione del virus HIV. E questo va a prescindere dalle donazioni di sangue perché la prevenzione rimane, per ora, la migliore cura.
Matteo D’Amico
@mattedamico
Ricambiando gli auguri rilancio con un ulteriore commento… premesso che la precauzione estrema non guasta mai e avevo visto anche l’articolo diciamo quindi che i 4 mesi possono quindi essere visti come una sorta di limite psicologico dove il donatore bugiardo almeno si pone lo scrupolo di astenersi per almeno 2 o 3 mesi e non 2 o 3 giorni…
Grosso modo :) anche se non si tratta di essere donatori bugiardi, magari solo inconsapevoli di sottostimare il rischio. Avis esiste anche per questo, diffondere conoscenza in tema trasfusionale e di donazione. Buona serata!
Ma perché 4 mesi di sospensione se lo stesso ministero della salute prevede 40 giorni per ritenere attendibile il test hiv?
Grazie
Buongiorno Paolo, per estrema precauzione. Non solo l’hiv è una malattia sessualmente trasmissibile. Se vuoi puoi approfondire qui: https://avisemiliaromagna.it/2015/06/16/le-bugie-del-donatore-onesto/
Buona Pasqua!